Fino a tempi recenti si è creduto che la «sicurezza» dei cittadini dipendesse da quella dei confini nazionali, il che giustificava il mantenimento di un adeguato dispositivo militare in funzione difensiva, cui il cittadino era chiamato a dare un contributo, fino al sacrificio della propria vita. Al cittadino si riconosceva un valore secondario rispetto a quello dello Stato, ma sufficiente a meritare di essere pianto pubblicamente in caso di morte in difesa dello Stato, anche se talvolta si poteva intravedere nelle parole pronunciate dai funzionari una certa retorica. Al contrario, l’individuo spogliato della cittadinanza non è stato considerato un soggetto di valore, almeno fino a quando, con l’affermazione della psicologia come scienza autonoma dalla filosofia (1879), non si è preso coscienza delle complesse dinamiche mentali che fanno di ogni soggetto umano un delicato portatore di bisogni.
Occorre aspettare la fine della seconda guerra mondiale perché gli uomini si rendano conto che il principale nemico di un popolo non proviene da oltre confine. Risulta evidente, infatti, che l’esistenza di ordigni atomici e la diffusione dei regimi democratici rendono improbabile il rischio di una nuova guerra. Ecco allora che l’attenzione si va spostando sulle persone, e si scopre che queste sono minacciate nei propri bisogni da fattori che si producono e agiscono all’interno dello Stato, nel mondo del lavoro e fino all’interno delle mura domestiche. Si scopre cioè che, oltre ad una sicurezza nazionale, esiste anche una sicurezza della persona, che è più difficile da cogliere, ma che forse è ancora più importante, e si riferisce all’individuo come tale, indipendentemente dal suo essere cittadino. In Italia, per esempio, si scopre che tutti gli individui che risiedono dentro i confini dello Stato si sentono minacciati e insicuri ogni qualvolta un proprio bisogno biologico o psichico non riceva adeguata soddisfazione, allo stesso modo in cui si poteva sentire minacciato il cittadino nelle epoche passate in caso di attacco militare dall’esterno.
In sostanza, il termine «sicurezza» è polisenso, perché può essere riferito sia ai bisogni della persona (ai suoi diritti), sia ai bisogni dello Stato (sicurezza delle istituzioni, dei confini, diritto internazionale) e fra queste due aree non c’è una necessaria corrispondenza: uno Stato potrebbe bensì essere sicuro nei confini e avere istituzioni ben salde, e i diritti delle persone essere scarsamente tutelati. Il contrario però non avviene. È impossibile infatti che, se tutte le persone di un paese godono dell’esercizio pieno dei propri diritti, non si possa poi dire altrettanto dei diritti di quel paese e delle sue istituzioni. Da ciò possiamo ricavare il principio che i diritti della persona sono primari, quelli dello Stato derivati. Ciò che conta, in definitiva, è che le persone abbiamo pari opportunità e siano lasciate libere di attuare il proprio progetto di vita. Tutto il resto è secondario. Dello Stato si potrebbe anche fare a meno. In altri termini, lo Stato si giustifica solo se favorisce o garantisce l’esercizio dei diritti delle persone.
11.1. La sicurezza come bisogno fondamentale dell’uomo
Questa premessa mi serve per giustificare la scelta di occuparmi principalmente della sicurezza della persona, quella che comunemente viene chiamata «sicurezza sociale» e che viene tradotta in pratica in un sistema di welfare, che comprende pensioni, assistenza e sussidi di vario genere o, più semplicemente, quello che viene chiamato «diritto di cittadinanza», ovverosia la “garanzia di uno standard di vita minimo” (SOMAINI 1997: 768). Così intesa, la s. è un bisogno fondamentale dell’uomo, che si colloca sullo stesso piano di altri bisogni primari, come quello del cibo, della salute e della socialità e che anzi li comprende. Una persona che non può esercitare i propri diritti avverte una qualche sensazione di disagio e insicurezza e, viceversa, una persona che si sente insicura ha certamente qualche problema nell’esercizio dei suoi diritti e non sarà in grado, né di esprimere pienamente il proprio potenziale genetico, né di costruire e svolgere in modo soddisfacente il proprio progetto di vita.
11.2. I fattori di insicurezza
Con la diffusione della democrazia liberale e la proclamazione dei diritti dell’uomo, la s. non si riferisce più allo Stato, bensì alle persone, perde cioè il suo significato politico e oggettivo e ne assume uno psicologico e soggettivo.
I fattori di insicurezza della persona sono numerosi e si possono distinguere in esterni o pubblici e interni o privati. I fattori esterni, che vanno dalla criminalità alla precarietà del lavoro, dall’immigrazione all’inquinamento, dal terrorismo all’inflazione, dall’instabilità della borsa alla difficoltà di giungere a fine mese, e via elencando, sono relativamente facili da quantificare. Basti pensare agli episodi di sfruttamento, di molestie sessuali e di mobbing, che si registrano nell’ambito lavorativo, soprattutto a danno dei soggetti più deboli o che oppongono resistenza ai tentativi di un loro asservimento. Meno facile è valutare l’insicurezza che origina dai fattori interni, ossia nell’ambiente domestico. “La violenza perversa nelle famiglie costituisce un ingranaggio infernale difficile da arginare, perché tende a trasmettersi da una generazione all’altra. Siamo qui nel registro del maltrattamento psicologico, che sfugge spesso alla vigilanza dell’ambiente circostante, ma che provoca sempre più danni” (HIRIGOYEN 2000: 34). E allora è questa la nuova emergenza: non più i confini della patria, ma la sicurezza della persona. Il vecchio schema è ribaltato: non si deve chiedere più al cittadino di sacrificarsi per lo Stato, ma si deve chiedere allo Stato di garantire i diritti democratici dei cittadini. Ed è proprio questo il senso degli artt. 2, 3, 32 e 38 della costituzione.
11.3. Sicurezza o libertà?
C’è un problema: l’esigenza di s. può confliggere col bisogno di libertà. Infatti, più i membri di una società sono liberi, più alto è il rischio che possano danneggiarsi a vicenda, e più vogliamo limitare questo rischio e più limiteremo la libertà delle persone. “L’acquisizione della sicurezza impone sempre il sacrificio della libertà, mentre quest’ultima può espandersi solo a spese della sicurezza. Ma la sicurezza senza libertà equivale alla schiavitù […]; mentre la libertà senza sicurezza equivale a essere abbandonati a se stessi” (BAUMAN 2001: 20). È lo Stato che deve farsi carico di affrontare questo problema e trovare il modo di garantire il massimo di s. alle persone senza privarle della libertà. Possiamo adesso chiederci come DD e DR affrontano questo problema e come rispondono al bisogno di sicurezza in generale.
11.4. La sicurezza DD
Alla DD non basta che sia rispettata la legge o che siano sicuri i confini dello Stato. La DD vuole che nessun individuo sia, o si senta, minacciato, schiacciato, oppresso, insidiato nei propri diritti, nella propria integrità psico-fisica e nei propri beni, perché, se è al sicuro il singolo, è anche al sicuro lo Stato. Secondo la DD, il modo più efficace di coniugare il massimo di s. col massimo di libertà consiste essenzialmente nel riconoscere le pari opportunità e un RMG, ma anche nel creare le condizioni che favoriscono l’effettivo esercizio dei propri diritti fondamentali e la libera attuazione del proprio progetto di vita, ovverosia un valido sistema di istruzione e di educazione civica, insieme all’introduzione dell’uso esclusivo di denaro elettronico.
11.5. La sicurezza DR
Nei paesi a regime DR, dove non c’è il rischio di guerre, il termine «sicurezza», anziché riferirsi alla difesa dei confini dello Stato, si riferisce essenzialmente alla difesa delle istituzioni, delle leggi e della proprietà privata, ma il risultato non cambia. Il postulato DR è che, se sono rispettate le istituzioni, la legge e la proprietà privata, sono anche sicure la popolazione, le famiglie e le persone.
Con questa logica, i progetti di vita individuali rischiano di essere compromessi a causa di una cronica situazione di insicurezza, che può colpire il soggetto, nel suo contesto sociale o familiare, anche se i mass media parlano poco della società o della famiglia come cause di insicurezza. Eppure, se guardiamo la realtà con gli occhi della persona, noteremo che l’insicurezza è la stessa, sia che provenga da violenze subite nell’ambiente sociale o domestico, sia che provenga dalle istituzioni dello Stato o da qualche minaccia esterna, e non è vero che l’insicurezza generata da cause interne faccia meno male o sia meno degna di attenzione dell’insicurezza generata da cause esterne. Insomma, quando Piero Fassino afferma che in Italia c’è “una diffusa percezione di insicurezza, che è aumentata in questi ultimi anni” (2001: 4), on si riferisce di certo a nemici esterni.
Non rientra nelle mie intenzioni addentrarmi in un argomento di cui credo ci sia abbastanza consapevolezza e abbondanza di letteratura. Mi limito perciò a citare la conclusione di uno studio eseguito da Michele M. Correra e Pierpaolo Martulli, che, benché sia stato condotto una ventina di anni fa, fotografa una situazione che, a quanto mi risulta, non è mutata in questi ultimi anni: “il rischio di subire violenza da parte di un altro membro della famiglia è mediamente assai più elevato rispetto a quello di essere aggredito per strada da sconosciuti” (1988: 17). Più precisamente, episodi di violenza fisica avverrebbero nel 30% delle famiglie e ne sarebbero vittime milioni, dico milioni, di soggetti deboli, specialmente donne e bambini. Le conseguenze di questo «disagio» familiare sono descritte dagli stessi autori in modo crudo, ma realistico: “Una famiglia inadeguata e violenta, soprattutto quando maltratta o trascura i fanciulli, non solo viene meno alla sua funzione, ma addirittura la perverte, generando sofferenza, disadattamento e devianza” (CORRERA, MARTULLI 1988: 185).
I governi DR tendono a sottovalutare i fattori d’insicurezza che si originano all’interno delle famiglie, con la conseguenza di non approntare servizi capaci di sostituire validamente le famiglie mal funzionanti e condannare molte persone ad un triste destino. Si tratta principalmente di bambini e giovani donne, che sono costretti a vivere in famiglie con problemi, dalle quali sono ostacolati nell’esercizio dei loro diritti e che spesso vengono avviati al lavoro e/o alla prostituzione, capri espiatori di un modello culturale che non prevede validi succedanei alla famiglia. I confini dello Stato saranno pure al sicuro, la proprietà sarà tutelata, le leggi saranno osservate, si potrà uscire per strada senza pericolo, ma questo non impedisce che vengano perpetrate innumerevoli atti di violenza, su milioni di bambini, donne e anziani all’interno delle mura domestiche, che la DR protegge come se si trattasse di un luogo sacro e inviolabile.
14. Il buon governo
15 anni fa
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