sabato 29 agosto 2009

7. La scuola

La scuola è il luogo preposto alla formazione civica e professionale dei cittadini, perciò la sua funzione è da ritenere fondamentale per lo Stato, per qualsiasi Stato, ma con delle significative differenze, a seconda degli obiettivi perseguiti. Così, uno Stato autoritario tenderà a formare cittadini omologati e sudditi, uno Stato democratico cittadini liberi e autonomi. In ogni caso, uno Stato vorrà formare cittadini funzionali a se stesso, ossia integrati nel proprio sistema politico vigente, e ciò può influire sia sugli obiettivi sia sulla qualità del servizio scolastico.
Una scuola valida dovrebbe operare in funzione dei discenti, fornire loro le competenze e gli strumenti necessari per inserirsi proficuamente nel mondo del lavoro e partecipare alla vita politica del paese in qualità di cittadini liberi e responsabili. Ma per far ciò, essa dovrebbe poter operare in modo indipendente dal potere politico e costituire un potere autonomo al pari della magistratura. Di converso, una scuola che sia governata dall’alto e dipenda dal finanziamento dello Stato sarà indotta ad operare più in funzione del potere politico che degli utenti.

7.1. La scuola DD è orientata alla persona
Secondo la DD, ciò di cui oggi l’uomo ha disperatamente bisogno non è una maggiore ricchezza economica o una tecnologia più avanzata, è bensì “un tipo di educazione che gli permetta di impiegare saggiamente le tecniche di cui è padrone” (CIPOLLA 1987: 141), oltre che di imparare “il rispetto per la dignità e il valore e il carattere sacro della personalità umana” (ivi p. 142). Ora, poiché la principale istituzione preposta all’educazione del cittadino è la scuola, è innanzitutto ad essa che guarderà un paese che voglia salvaguardare il proprio futuro. Thomas Jefferson un giorno pronunciò queste parole: “Non conosco depositario di potere affidabile tanto quanto il popolo stesso. Se la popolazione non è considerata abbastanza illuminata da governare con giudizio integerrimo, non si dovrà impedirle di farlo, ma glielo si dovrà insegnare” (in GROSSMAN 1997: 11). In sintonia con questo spirito, lo scopo ultimo della DD è quello di “investire una quota maggiore delle nostre risorse nel miglioramento qualitativo dell’uomo” (CIPOLLA 1987: 141).
La DD reputa necessario educare il cittadino ad essere se stesso e a gestire responsabilmente le proprie libertà. Convinta che “cittadini responsabili e impegnati non si nasce, si diventa” (GROSSMAN 1997: 301), essa investe moltissimo sulla formazione del cittadino e, attraverso una scuola d’eccellenza, punta a massimizzare la libertà individuale e a favorire “la critica, piuttosto che la semplice conservazione, delle istituzioni sociali” (in SEN, WILLIAMS 1984: 344). Oltre a fornire un’istruzione di livello elevato, la scuola DD si prefigge l’obiettivo di infondere nei discenti l’amore nello studio e la motivazione ad imparare, ma soprattutto vuole essere aperta, in modo che tutti possano accedervi, liberamente, fino all’ultimo giorno della propria vita. È una scuola continua, una palestra dei cervelli e un luogo aperto dove poter leggere, conversare, tenere corsi e conferenze, dare e raccogliere informazioni, fare ricerche, avanzare proposte e idee innovative in tutti i settori, sociale, produttivo e politico.
La scuola DD non è staccata dal mondo produttivo, ne fa parte integrante. Così, al lavoratore sarà consentito di frequentare la scuola, “ma anche il posto di lavoro sarà il luogo dove gli adulti continuano ad imparare” (DRUCKER 1993: 226). Insomma, scuola e lavoro sono un unico mondo. I docenti, che sono anche lavoratori ed esercitano attività produttive di vario genere, verranno selezionati a partire dagli albi professionali di categoria, secondo il criterio che chi occupa un gradino più alto può insegnare a tutti gli altri nella stessa categoria. La Commissione delle Attività Produttive e dei Servizi (CAPS) vigila sulla qualità dell’insegnamento, sia pretendendo dai docenti rapporti informativi sui propri metodi di lavoro e sui risultati conseguiti, sia esercitando controlli casuali per verificare la veridicità dei rapporti stessi, così che, alla fine, si venga a configurare quella che Drucker chiama “società della conoscenza” o “società post-capitalistica”.

7.2. La scuola DR è orientata al sistema politico: il caso Italia
La scuola DR non solo non è collegata col mondo del lavoro, ma non è nemmeno un luogo di incontro dei cittadini. Essa non favorisce il confronto delle idee, né incoraggia la creatività, le idee innovative e la ricerca e, per di più, rimane attiva solo quel tanto che è sufficiente ad erogare un titolo. La sua principale funzione, oltre all’erogazione del titolo, è quella di formare cittadini conformati al sistema vigente. Per l’establishment DR è più importante conquistare consensi che realizzare un servizio scolastico di eccellenza. Perciò mancano verifiche e controlli di qualità, agli insegnanti si chiede poco e si dà poco, l’attività didattica è imbrigliata da logiche curricolari e procedurali fini a se stesse e, quando un docente abbia svolto il programma imposto dal Ministero e assolto i suoi impegni burocratici, egli ha compiuto integralmente il suo dovere. Lo Stato DR investe poco sulla scuola e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: i giovani ricevono una formazione solo teorica e di basso profilo, mentre gli insegnanti si sentono frustrati, mal retribuiti e poco apprezzati dall’opinione pubblica. Chi vuole una scuola di qualità deve pagarsela, ma, per quanto valida, una scuola privata non forma cittadini democratici, bensì professionisti tecnicamente preparati nella propria disciplina, che sono destinati ad una carriera brillante e remunerativa. Sono i futuri cittadini privilegiati, o di serie A, i quali continueranno a mandare i loro figli nelle scuole private, alimentando un sistema iniquo, dove non sono contemplate le pari opportunità.

27.2.1. Cenni storici
Fino alla metà del XIX secolo, esisteva solo una scuola privata d’élite erogata dalle Università e dalla Chiesa, ma, nel corso dell’Ottocento, alcuni leader riformatori, eredi dell’illuminismo, “capirono l’utilità dell’istruzione scolastica per promuovere valori, atteggiamenti e abitudini che sembravano all’ordine, all’integrazione, alla coesione e a certe forme di progresso” (Graff 2002: 228-9). Non ci sorprende che, in un periodo in cui andava di moda il colonialismo, l’imperialismo e il nazionalismo, l’alfabetizzazione di massa fosse vista come uno strumento atto a rendere più forte e competitiva la nazione. La scuola di massa è stata pensata per lo Stato piuttosto che per le persone e si è affermata all’interno di una politica di potenza e non con lo scopo di formare cittadini democratici.
In Italia l’introduzione della scuola di massa è coincisa con la creazione del Regno (1860) ed è consistita nell’estensione della legge che Casati aveva introdotto nel Regno di Sardegna un anno prima. Così facendo, lo Stato toglieva alla Chiesa il monopolio dell’istruzione che essa aveva detenuto fino a quel momento. L’attrito fra Stato e Chiesa che ne conseguì finì per abbassare il livello qualitativo del sistema scolastico rispetto al resto d’Europa. Il modello Casati subì dei cambiamenti ad opera delle leggi Coppino (1877), Orlando (1904), Daneo-Credaro (1911), che culminarono nella profonda riforma di Giovanni Gentile (1923) seguita da quella più modesta, ma comunque importante, di Bruno Bottai (1940). Intanto, il Concordato (1929), che riconosceva dei privilegi alla Chiesa, poneva termine ai contrasti fra Stato e Chiesa, ma confermò il sospetto che i fini dell’istruzione non erano la libertà e i diritti dei cittadini, ma la politica di potenza dello Stato e delle sue istituzioni. Resta il fatto che, agli inizi della Repubblica, “il divario tra l’Italia e il resto dell’Europa era ancora notevole” (Ventura 1998: 11).
L’impostazione scolastica monarchico-fascista, con i suoi privilegi riconosciuti alla Chiesa, è stata mantenuta anche in occasione di un secondo Concordato (1984), segno che in mezzo secolo non era cambiato nulla e che la Repubblica si riconosceva nei valori fascisti che, come sappiamo, erano legati al potere dello Stato più che ai diritti democratici delle persone.

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