sabato 29 agosto 2009

12. Il federalismo

Il termine Federalismo (dal latino foedus: patto, contratto, alleanza) indica un «contratto» fra Stati sovrani, che rinunciano ad una parte della propria sovranità e si associano in un unico organismo politico, allo scopo, dichiarato o meno, di garantirsi migliori condizioni di pace interna e favorevoli opportunità in campo economico. Si tratta, in sostanza, di un sistema di divisione dei poteri che permette al governo centrale e a quelli regionali di essere, ciascuno nella sua sfera, coordinati e indipendenti. Di norma, i poteri attribuiti al governo federale riguardano la politica estera, la difesa, le dogane e la moneta, mentre, negli altri campi, si lascia libertà di manovra ai singoli Stati. In un senso più ampio, “il federalismo implica il collegamento di individui, gruppi e comunità politiche in una unione durevole ma limitata, in modo tale da permettere l’energico perseguimento di obiettivi comuni pur mantenendo le integrità di tutte le parti” (ELAZAR 1998: 6-7). Lo Stato federale garantisce che i diritti dei cittadini siano rispettati nei singoli Stati, mentre, a loro volta, i cittadini dei singoli Stati partecipano alla scelta del governo federale, secondo il principio «un cittadino, un voto».
Il modello confederativo si differenzia dal precedente perché i titolari di diritti-doveri non sono gli individui, ma gli Stati, i quali conservano la loro piena sovranità negli affari interni e godono di condizioni di uguaglianza, sancita dal principio «uno Stato, un voto». “Neppure in casi eclatanti di violazione di diritti umani fondamentali, come nel caso di genocidio, la confederazione ha facoltà di intervenire negli affari interni di uno Stato. I diritti degli individui non trovano altra protezione in una confederazione che non quella accordata loro dai singoli Stati” (ARCHIBUGI, BEETHAM, 1998: 92-3). Inoltre, la partecipazione di uno Stato alla confederazione è volontaria e revocabile.

12.1. Vantaggi del federalismo
In sostanza, come aveva già notato Montesquieu, il f. ha la proprietà di trasformare un piccolo e debole Stato in un organismo grande e potente, e ciò era considerato un grosso merito in un periodo in cui le grandi monarchie si misuravano sulla base della dimensione demografica, della ricchezza e della forza. “Composta di piccole repubbliche, essa [la Federazione] gode della bontà del governo interno di ciascuna; rispetto all’esterno poi, possiede, grazie alla forza dell’associazione, tutti i vantaggi delle grandi monarchie” (Montesquieu, Leggi, IX,1). In definitiva, il f. rende più forte il singolo Stato e ne riduce il rischio di soccombenza. E tutto ciò senza sacrificare la comunità locale, che anzi ha più probabilità di affermarsi e funzionare democraticamente.

12.2. Origini del federalismo: dalla famiglia alla nazione
Sulla terra coesistono circa tremila gruppi etnici e tribali, che generalmente sono così legati alla propria identità nazionale da non esitare a ricorrere alle armi qualora la sentissero minacciata da qualcuno. Dopo la famiglia e il clan, il gruppo etnico (o tribù, o nazione) rappresenta la forma di convivenza sociale più diffusa e di maggior successo, perché è quella che presenta il miglior rapporto fra il bisogno di sicurezza e il bisogno di libertà. Una famiglia, per quanto allargata, può comprendere al massimo qualche decina di unità, un clan, per quanto esteso, può arrivare a qualche centinaio. In entrambe le fattispecie, si tratta di compagini relativamente deboli e inadatte ad approntare una valida azione di difesa in caso di attacco dall’esterno da parte di una compagine di pari consistenza, o perfino meno numerosa, purché determinata a fare razzia di beni. Di ben altra tempra è una nazione composta da decine o centinaia di migliaia di unità, che vivono in un’area estesa come la Valle d’Aosta, dove hanno modo di frequentarsi regolarmente, comunicare, scambiarsi beni e cultura, parlare la stessa lingua, condividere gli stessi ricordi e lo stesso stile di vita. Una nazione distribuita su un’area molto più vasta rischierebbe di frantumarsi a causa delle difficoltà di comunicare e frequentarsi. Così intesa, la nazione rappresenta il massimo ordine di grandezza possibile per una società umana a formazione spontanea, il che è avvenuto grosso modo fino a 6-8 mila anni fa.
Questa prima forma di nazione inizia a prendere una chiara coscienza di sé solo nei casi di pericolo o di gravi difficoltà (carestie, alluvioni, incendi, epidemie), o in occasione di conflitti con nemici esterni e di guerre, quando cioè si rende necessaria l’unione solidale di tutti e il massimo senso di disciplina gerarchica sotto un capo comune. Cessato il pericolo, ciascuno tende a fare ritorno al consueto tran tran all’interno della propria famiglia e del proprio clan. Solo i capifamiglia e i capiclan continuano a frequentarsi regolarmente, si scambiano doni e informazioni, o facendosi visita reciprocamente, o riunendosi in un particolare luogo consuetudinario o sacro, dove si svolgono i riti più solenni in onore di una divinità comune o per celebrare un evento, come il raccolto. È in un siffatto contesto che maturano le condizioni per un accordo federale.

12.3. Diffusione della guerra
Questo quadro cambia con l’entrata in scena della guerra e la sua diffusione come strumento di conquista. Un condottiero può riunire intorno a sé anche una decina di tribù e sottometterne altrettante, creando così un piccolo regno, che risulta così formato di tante tribù unite nella figura di un capo supremo, o re, che si impegna a garantire la pace interna e a difendere il regno da eventuali attacchi dall’esterno. Per svolgere queste sue funzioni, il re impone dei tributi ai sudditi, in modo da poter mantenere una milizia armata e un adeguato numero di funzionari, che con lui collaborano. Di norma, re, milizia e funzionari risiedono in un villaggio fortificato o in una vera e propria città cinta da mura.
Un ulteriore cambiamento si verifica a partire da 5 mila anni fa, quando i re intraprendono un’intensa politica di alleanze e di espansione, da cui emergono personaggi particolarmente abili e fortunati, che riescono a conquistare grandi imperi e a fondare potenti e durature dinastie. Da questo momento, come ha osservato Tocqueville, “Tutti i popoli che hanno dovuto sostenere grandi guerre sono stati indotti, anche involontariamente, ad aumentare la forza del governo; quelli che non hanno potuto farlo, sono stati conquistati” (1996: 164-5).
Dalla città dove risiede (chiamata «capitale»), il grande re controlla e amministra il suo impero servendosi di un imponente apparato burocratico e di presidi militari dislocati nei punti strategici. L’impero si compone di centinaia di tribù, che sono sotto il comando di un signore locale. A fronte di un così radicale cambiamento del quadro politico, la vita quotidiana delle persone non presenta cambiamenti sostanziali. Ciascuno infatti continua a vivere all’interno della sua famiglia e del suo clan e continua a identificarsi con la propria nazione, cui si sente legato dalla comunanza di lingua, tradizioni, costumi e religione. In pratica, ogni nazione è costituita da tante comunità locali (CL), ciascuna della quali è governata da un signore, che di solito risiede in un villaggio fortificato, che costituisce il punto di riferimento per l’intera comunità. Il grande re dirime le discordie fra le nazioni a lui sottomesse e assicura la pace interna servendosi della minaccia militare e del diritto.

12.4. Esempi storici
Come primo caso noto di federazione nella storia viene indicato solitamente quello dell’antico Israele, mentre l’esempio più importante di federalismo medievale è rappresentato dalla “confederazione di repubbliche di montagne svizzere, costituita nel 1291 e finalizzata al mutuo soccorso nella difesa dell’indipendenza” (ELAZAR 1998: 102]. Giunto a maturità con la costituzione del sistema federale americano, il federalismo moderno si è espanso continuamente negli ultimi due secoli e oggi viene visto come una valida alternativa al nazionalismo.

12.5. Modelli di federalismo
“Esistono tre modelli principali di federalismo moderno: il sistema americano, svizzero e canadese” (ELAZAR 1998: 35], tutti accomunati dal fatto di essere dei sistemi DR a due livelli di cittadinanza e di rappresentanza, nel senso che “ogni individuo è nello stesso tempo cittadino del proprio Stato e della federazione” (LEVI 1997: 90) e contribuisce ad eleggere i rispettivi governi.

12.6. Condizioni del federalismo
In teoria è possibile una federazione di Stati retti da dittature, ma in pratica la federazione è più congeniale a sistemi democratici. Difficilmente, infatti, un dittatore accetterebbe di limitare il proprio potere. In teoria è anche possibile un accordo federale tra Stati che differiscono in quanto a forza militare e risorse economiche, in pratica però l’accordo è tanto più probabile quanto meno marcate sono queste differenze, perché abitualmente uno Stato molto più forte di un altro tende a dominarlo piuttosto che a considerarlo un partner di pari livello. L’esigenza di costruirsi in federazione viene avvertita principalmente da Stati opulenti, che intendono garantirsi condizioni di pace e consolidare le proprie posizioni. Al contrario, in caso di crisi economica o di grave minaccia esterna, prevale l’esigenza di costituire un governo unitario. “La guerra e la crisi economica richiedono un controllo unitario se si vuole che i loro problemi vengano effettivamente risolti, ed impongono degli sforzi finanziari che solo i governi centrali sono in grado di sopportare” (WHEARE 1997: 375).

12.7. Federalismo come strumento di pace
Un importante vantaggio del f. è quello di ridurre i costi degli armamenti per ogni singolo Stato e contenere il rischio della guerra. L’unione fa la forza e la Federazione rende più forte il singolo Stato e rende superfluo che esso incrementi la propria forza per non soccombere. Questo aspetto non è sfuggito a Tocqueville: “Tutti i popoli che hanno dovuto sostenere grandi guerre sono stati indotti, anche involontariamente, ad aumentare la forza del governo; quelli che non hanno potuto farlo, sono stati conquistati” (La democrazia in Am., 1835, pp. 164-5). Secondo Kant, “una federazione di Stati che si pone come obiettivo quello di allontanare la guerra è l’unico stato di diritto conciliabile con la loro libertà” (2002: 101).
Fino alla Convenzione di Filadelfia (1787), che segna l’inizio degli Usa, “la guerra è stato il mezzo più utilizzato nella storia per pacificare vasti territori” (LEVI 1994: 41). L’unità politica degli imperi si fondava sull’autorità dell’imperatore e su leggi comuni, ma, in ultima analisi, era mantenuta con la forza. “La costituzione degli Stati Uniti ha rappresentato una rottura della tradizione espansionistica e imperialistica nella formazione di nuovi Stati. Si tratta infatti del primo esempio di un’unificazione avvenuta in tempo di pace e con il consenso dei popoli” (LEVI 1994: 41). Da questo momento, è possibile vedere nel f. uno strumento di pace, che “risponde al bisogno dei popoli e delle comunità politiche di unirsi per perseguire fini comuni, restando tuttavia separati per conservare le rispettive integrità” (ELAZAR 1998: 28).
L’obiettivo ultimo del f. è la pace, e non è per caso che ovunque le federazioni si affermino, “gli Stati perdono il potere di fare la guerra, le relazioni internazionali perdono il loro carattere violento e la ragion di Stato perde la funzione di forza motrice della storia” (LEVI 1994: 39). È proprio in virtù di questa prerogativa che il bisogno di f. è cresciuto dopo la seconda guerra mondiale, quando le armi nucleari hanno reso estremamente pericoloso per tutti il vecchio costume di appellarsi alla guerra come arbitro ultimo nelle controversie fra i gruppi umani. Oggi, più che mai, l’umanità ha bisogno di pace, e in tal senso può trovare nel f. un valido strumento, capace anche di portare alla piena attuazione il processo di globalizzazione e anche di consentire il passaggio dalla DR alla DD. Ebbene, questo strumento può ben essere il federalismo di tutti gli Stati della terra, ossia il cosmopolitismo. Un f. mondiale dei popoli dovrebbe sancire la cessazione delle guerre tra Stati sovrani e garantire una pace universale durevole. Sec. J. Maritain, esso “appare come l’unica via aperta per la soppressione della guerra” (messaggio pronunciato alla radio di New York il 25.3.1944 (in POZZOLI 1997: 107).
In quanto strumento di pace, il f. non è né di desta né di sinistra, né progressista né conservatore. Esso è semplicemente “l’antidoto più efficace contro i rischi di concentrazione del potere, finanziario, mediatico e politico che minacciano alla base le fondamenta della democrazia moderna” (MARIUCCI 1996: 18).

12.8. Federalismo e democrazia
“Tra federalismo e democrazia esiste un legame stretto” (GROPPI 2004: 54). Il f. ha dimostrato, infatti, di poter funzionare solo con Stati repubblicani democratici, e non con monarchie o altre forme di governo autoritarie, e se ciò vale per la DR, a maggior ragione deve valere anche per la DD.
La principale riserva circa l’attuazione della DD consiste nel fatto che, da Aristotele a Rousseau, la DD è stata ritenuta adatta solo per comunità di piccole dimensioni, come le nazioni e le comunità locali, le uniche che consentano alle persone di incontrarsi, dibattere e deliberare. Il problema, si è detto, è che le piccole comunità non garantiscono l’indipendenza nei confronti dei grandi Stati e, indirettamente, nemmeno la libertà delle persone. Insomma, la DD andrebbe bene, ma non protegge adeguatamente gli individui dal rischio di essere assoggettati. Ed è proprio qui che può entrare in gioco il principio federale, il quale può rendere possibile ciò che prima era ritenuto impossibile, ossia la convivenza pacifica di entità politiche che da sole non potrebbero garantirsi la propria indipendenza. Che queste entità politiche siano Stati o piccole CL non dovrebbe avere alcuna importanza. In sostanza, oggi il f. può essere ritenuto, non solo un mezzo idoneo a consentire la coesistenza pacifica di una miriade di CL all’interno di un Sistema-Mondo, ma anche uno strumento per l’attuazione della DD.
“Dal momento che il potere non è riunito in un solo centro, nello Stato federale esistono le condizioni più favorevoli per l’autogoverno locale” (LEVI 1998: 379). Alla fine, la CL altro non è che il palcoscenico dove il cittadino democratico può recitare la parte che gli compete, e il f. diventa lo strumento per “la massima responsabilità per ogni essere umano e per ogni gruppo d’uomini in ogni campo della vita pubblica” (in POZZOLI 1997: 238).

12.9. Caratteristiche del federalismo
Secondo A. Lijphart, “si possono identificare cinque caratteristiche fondamentali del federalismo: una costituzione scritta, il bicameralismo, il diritto delle unità componenti ad essere associate nel procedimento di emendamento della costituzione federale, ma di poter modificare la loro costituzione unilateralmente, la rappresentanza uguale o non proporzionale delle unità componenti più piccole nella camera federale e il governo decentrato” (1988: 182). Simile è la posizione di Elazar: “La volontà di federarsi implica proprio questo: il desiderio di costruire una comunità politica composita sulla base di principi repubblicani, che si concretizza in un’apposita cornice costituzionale e che presenta come elemento fondamentale la condivisione del potere” (ELAZAR 1998: 160]. In estrema sintesi, repubblicanesimo, costituzionalismo e democrazia rappresentativa possono essere indicati come le colonne ideologiche del federalismo.
Sul piano organizzativo, invece, il f. si fonda su tre princìpi: il decentramento o devoluzione (devolution, in inglese), la sussidiarietà e la libertà.

12.9.1. Devoluzione
Decentramento significa trasferire quote di potere decisionale dal centro alla periferia, dallo Stato alle regioni o ad altri enti locali, avvicinare i cittadini e motivarli ad un maggior consenso e ad una maggiore partecipazione politica (GROPPI 2004: 53-5). Secondo Luttwak e Creperio Verratti, “soltanto con il decentramento si può realizzare la democrazia in senso attivo, cioè come vera partecipazione dei cittadini alla vita politica” (1996: 75).

12.9.2. Sussidiarietà
L’altro principio del f., la sussidiarietà, “prevede che le funzioni siano attribuite al livello più basso possibile, ma riconosce, al tempo stesso, se necessario, l’intervento di quelli superiori in un ruolo d’integrazione” (VENTURA 2002: 119). In altri termini, questo principio stabilisce che lo Stato interverrà nella vita delle istituzioni solo quando queste non dovessero riuscire a sbrigarsela da sole.
Si distinguono due tipi di sussidiarietà: una positiva, l’altra negativa. Secondo la s. negativa, o di non ingerenza, lo Stato non deve impedire agli individui e ai gruppi sociali di «fare» da soli. Secondo la s. positiva, o di ingerenza, lo Stato deve intervenire in ogni modo possibile: non solo formando i cittadini e sostenendoli sul piano morale, ma anche affiancandoli, fino a sostituirli. Solo apparentemente questi due tipi di s. sono incompatibili. In realtà, la massima espressività dell’individuo richiede uno Stato molto presente e funzionale, non solo per quel che concerne l’istruzione e i servizi formativi dell’individuo, ma anche per garantire condizioni di sicurezza e per attuare politiche di welfare a favore dei più sfortunati. Così concepito il principio di s. realizza un circolo virtuoso, secondo il quale “i cittadini producono la democrazia che produce i cittadini” (Morin 2001: 113).

12.9.3. Libertà
Secondo Elazar, i federalisti si distinguono dagli altri democratici perché vedono “la libertà come più importante rispetto alla lotta per l’uguaglianza assoluta [… e] sono disposti a sacrificare un certo grado di uguaglianza per il bene della libertà” (in Pozzoli 1997: 300).

12.10. Federalismo come antitesi dello Stato nazionale
Secondo Altiero Spinelli, il f. si pone come un’alternativa allo Stato-nazione: “I federalisti si distinguono da tutte le altre correnti politiche, siano esse democratiche o antidemocratiche, in ciò: che essi considerano come un nemico da abbattere quella stessa cosa che tutti gli altri considerano, ciascuno a modo suo, come un idolo da venerare o da servire: lo Stato nazionale” (in POZZOLI 1997: 287). Analoga è la posizione di Elazar: “Inteso correttamente, il federalismo si contrappone allo stato nazionale centralizzato e reificato, che è il principale prodotto del nazionalismo dell’epoca moderna” (1998: 105). Non ci sorprendiamo perciò se, oggi, di fronte all’evidente l’inadeguatezza dello Stato-nazione a fronteggiare i problemi del pianeta, il federalismo sia di grande attualità e ad esso si guarda come mezzo idoneo a superare le ideologie nazionalistiche degli Stati. È questo il contesto in cui s’iscrive il tentativo di realizzare un’Europa unita. “La novità dell’esperimento federativo europeo consiste nella ricerca di una risposta istituzionale alla crisi dello Stato sovrano” (LEVI 1998: 379).

12.11. Federalismo come cosmopolitismo
Oggi, il f. è considerato come un modello di organizzazione politica di successo e, secondo alcuni, potrebbe imporsi come l’unico strumento idoneo a realizzare un Mondo Unito Democratico. “Esso può essere istituito a livello delle unità statali, ma anche in un ambito più ampio, internazionale o addirittura mondiale, quale strumento di pacifica convivenza tra i popoli” (VENTURA 2002: 7). In sostanza, il f. può essere realizzato a livello di un singolo Stato, che si decentralizza suddividendosi in sub-Stati o Regioni sovrane, o a livello internazionale, realizzando, al limite, una Federazione mondiale. Questo era il sogno di Kant. “I popoli, in quanto Stati, possono essere giudicati come singoli uomini […] e ciascuno di essi può e deve esigere dall’altro di entrare con lui in una costituzione simile a quella civile, nella quale a ciascuno sia garantito il suo diritto. Questo costituirebbe una federazione di popoli, che tuttavia non dovrebbe essere uno Stato di popoli” (2002: 60). Kant pensa ad una Federazione mondiale, da istituire sulla base di un «contratto», come quello che, secondo i moderni, sarebbe stato stipulato dai singoli individui nello stato di natura. Sulla stessa linea si muove Proudhon, il quale considera il f. infranazionale il primo passo per raggiungere quello sopranazionale.
Il f. mondiale prevede, tra l’altro, la necessità di istituire un ordine giuridico internazionale, che regoli i rapporti fra gli Stati impedendo loro di muoversi guerra. L’obiettivo dichiarato è quello di garantire la pace facendo ricorso alla legge. C’è da annotare, tuttavia, che, se la legge fosse ingiusta, si potrebbe prevedere la nascita di focolai di tensione, che potrebbero mettere in pericolo lo stato di pace o esigere una pace di tipo totalitario e oppressivo, e da una pace indotta da una legge ingiusta potrebbe originare un mondo invivibile.

12.12. Il Federalismo DD
La DD guarda ai princìpi di decentramento e sussidiarietà con tale favore da esprimerli fino a realizzare un federalismo individuale, mettendo cioè le persone al posto delle istituzioni. Non solo lo Stato non dovrà intromettersi in ciò che l’individuo sia in grado di fare da solo (sussidiarietà negativa), ma dovrà adoperarsi per metterlo in grado di fare autonomamente sempre più cose (sussidiarietà positiva). In sostanza, il f. individualista vuole che tutti i cittadini, partendo da pari opportunità, abbiano la facoltà di accedere all’informazione, di stilare l’ordine del giorno e di partecipare in egual misura al potere politico.
L’esempio dell’Italia ci può aiutare a comprendere meglio e a giustificare il modello di f. di cui stiamo parlando. I federalisti dicono che il potere dev’essere partecipato alle regioni. Bene. Ma perché questa logica non dovrebbe essere applicata anche all’interno di una singola regione? “Prendiamo la Sicilia. Perché il potere dovrebbe rimanere concentrato a Palermo, e non invece diviso fra le province? Poi però anche i comuni potrebbero osservare: “Perché non dovremmo partecipare anche noi al potere?” I comuni, tuttavia, non sono entità semplici: al loro interno ci sono circoscrizioni, imprese produttive, unità commerciali, servizi, condomini e famiglie. C’è qualche ragione perché la logica federalista non debba essere applicata anche a queste entità? E così, seguendo questo percorso, giungiamo al singolo individuo. Perché negare al singolo individuo il diritto a candidarsi come il più piccolo e fondamentale centro del potere politico?
Per essere credibile, il f. non può fermarsi alla regione e nemmeno al capo-famiglia, come aveva fatto Proudhon, che pure aveva con ciò toccato un limite che era già da considerare coraggioso, ma dev’essere disposto a giungere fino all’individuo sovrano. A questo punto, però, che cosa sarebbe il federalismo se non una DD?
Secondo il mio modello DD, il F. ideale è quello che, coerentemente coi suoi princìpi, partecipa il potere a tutti i cittadini, ossia il F. individualista, il quale si basa sui seguenti princìpi:
1. Promozione dell’individuo.
2. Riconoscimento di alcuni fondamentali diritti individuali, e cioè:
a) pari opportunità;
b) parità di accesso all’informazione;
c) possibilità di accesso all’informazione alternativa;
d) possibilità di controllare l’ordine del giorno.
3. Rappresentanza solo con mandato imperativo.

12.13. Il Federalismo DR
Il f. ha dimostrato di trovarsi in sintonia con la DR, tanto che oggi è ben rappresentato nel panorama mondiale, dove ha assunto forme diverse (in Italia, per esempio, troviamo un accenno di f. nelle regioni). La caratteristica del federalismo DR, che chiameremo «statalista», è quella di riferirsi agli Stati o ad altre entità comunitarie (Regioni, Comuni, Istituzioni), mai alle persone, e questa è l’unica forma esistente di federalismo. La DR si guarda bene dall’estendere la logica federalista ai singoli individui e, abitualmente, si ferma alle regioni. In teoria, potrebbe accettare di includere le province e perfino i comuni, ma non è disposta a spingersi oltre. Così facendo, il f. finisce col moltiplicare le istituzioni dotate di potere politico (poliarchia), ma continua ad escludere i cittadini dalla partecipazione politica. Il risultato è che la società rimane di tipo duale, con una classe dominante minoritaria e la maggioranza dei cittadini sottomessi, il cui unico potere riconosciuto è quello di eleggere liberamente i propri rappresentanti.
Chi ci guadagna in un siffatto ordinamento politico? Certamente gli uomini che hanno aspirazioni di potere. Un sistema federale, infatti, ne può accontentare un numero maggiore che qualsiasi altra forma di governo. Certo, i signori di Roma dovrebbero dividere il potere con quelli della periferia, quindi vedrebbero ridotto il proprio potere, ma in compenso la loro posizione risulterebbe più stabile. Globalmente considerato, il potere risulterebbe più esteso e livellato, ma anche più sicuro, sia a causa delle condizioni di pace garantite dal f., sia perché tutti i più temibili concorrenti, avendo già la propria fetta di potere, sarebbero poco motivati ad agitare le acque. Semmai ci si potrebbe aspettare qualche rimpasto, qualche scambio di ruoli, ma la classe dominante rimarrebbe comunque ben salda al comando. Oltre agli uomini di potere, a guadagnarci sarebbero i centri più ricchi di risorse, che potrebbero avere la meglio nella competizione con gli altri centri meno fortunati e diventare sempre più ricchi. Non per niente il f. è caldeggiato prevalentemente dalle regioni più benestanti e dai personaggi medio-borghesi con ambizione di potere.
E i cittadini comuni? Per loro cambierà poco o nulla. Il potere non sarà mai nelle loro mani. Essi continueranno ad eleggere i propri rappresentanti con delega apparentemente soggetta a verifica periodica, ma in realtà in bianco, e il loro voto sarà conteso a suon di spot pubblicitari e di campagne propagandistiche da parte di chi detenga il potere economico e controlla i mezzi di informazione di massa. Così a governare il Paese resteranno solo quanti avranno grossi interessi privati da difendere, i quali verranno sostenuti da una massa di cittadini ignari di essere solo uno strumento. In pratica, il Paese sarebbe governato da potentissimi gruppi, società, compagnie e lobby, e all’insegna dei loro interessi: gli Stati Uniti insegnano. Anche se dovesse essere concessa ai cittadini la facoltà di prendere una qualche decisione attraverso il voto referendario, in realtà, fintantoché il potere sarà nelle mani dei rappresentanti, questi troveranno mille espedienti per impedire che prevalga la volontà del popolo. Così, il governo del Paese sarà appannaggio dei cittadini dalla classe media in su, i quali governeranno a proprio vantaggio, mentre una larga fascia della popolazione continuerà a confrontarsi quotidianamente con problemi di mera sopravvivenza, nel rispetto del tipico modello capitalista: chi è ricco diventa sempre più ricco, chi è povero sempre più povero.

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